“Here’s to the crazy ones. The misfits. The rebels. The troublemakers. The round pegs in the square holes. The ones who see things differently. They’re not fond of rules. And they have no respect for the status quo. You can quote them, disagree with them, glorify or vilify them. But the only thing you can’t do is ignore them. Because they change things. They push the human race forward. And while some may see them as the crazy ones, we see genius. Because the people who are crazy enough to think they can change the world, are the ones who do.”
Il primo post è dedicato a Steve Jobs, perché molto di quello che oggi penso, e come lo penso, nel mio lavoro – e non solo, per certi versi – lo devo al modo in cui mi ha insegnato a vedere le cose. Al modo in cui mi ha insegnato a ragionare sulle cose.
Esulo dal main stream di glorificazione di Steve, perché me è stato molto altro: ho visto e rivisto le sue presentazioni; ho studiato i suoi prodotti sotto ogni punto di vista; ho vissuto e ragionato su ogni pixel dei suoi software.
Cosa – per me – molto importante, ho riflettuto molto sul suo modo di arrivare al punto, al risultato. E sul come. E sul perché.
E mentre vedo molta gente che ne tesse le lodi perché ha portato Apple dove l’ha portata, io mi godo il senso, assolutamente personale, di quello che a me questo suo passaggio terreno ha dato.
Mi ha insegnato a cercare di andare costantemente oltre il mio limite, a livello creativo, per vedere, con tutta la curiosità e la gioia della vita, cosa c’è dopo; mi ha spiegato, nel corso degli anni, che i dettagli apparentemente più insignificanti, nel mio lavoro, possono incredibilmente trasformare quello che faccio da qualcosa di normale a qualcosa di emozionante, e a non trascurarli mai; mi ha insegnato che in quello che faccio può esserci sempre una deliziosa “just one more thing”; mi ha insegnato, fra le cose più importanti, a non arrendermi al senso comune delle persone e delle cose ma a cercare, sempre, di trovare, di ascoltare e di capire il mio punto di vista.
E questo, dopo tanti anni, è forse la cosa più bella che so fare.
Grazie, Steve.